Giubileo dello Sport: nello sport il riflesso di Dio

Toccano il cuore e lasciano il segno le parole del Papa offerte oggi alla Messa del Giubileo degli Sportivi. «Lo sport porta in sé un riflesso della bellezza di Dio […] «Lo sport insegna anche a perdere, mettendo l’uomo a confronto con la fragilità, il limite, l’imperfezione»

C’è tanta saggezza antropologica nelle parole che Papa Leone XIV ha pronunciato nell’omelia della Celebrazione Eucaristica della santa Messa per il Giubileo dello Sport nella Solennità della Santissima Trinità, celebrata nella basilica di San Pietro la mattina di domenica 15 giugno. A concelebrare, davanti a 3.500 fedeli, per lo più atleti e dirigenti sportivi, sono i cardinali José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e Mauro Gambetti, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, arciprete della Basilica di San Pietro. Otto i vescovi, 250 i sacerdoti. Tra i presenti in assemblea, il Presidente del CIO, Thomas Bach e il Ministro italiano dello Sport, Andrea Abodi, il Presidente nazionale del CSI, Vittorio Bosio, Aurelien Diesse, judoka francese, campione olimpionico, l’ex nazionale di calcio italiano, ora sindaco di Verona, Damiano Tommasi. Apprezzatissime dal CSI, presente nelle due giornate giubilari a Roma, con oltre 1.500 iscritti, e con tante società sportive che anche stamane, dopo l’attraversamento della Porta Santa ieri pomeriggio, hanno gremito le navate della Basilica di San Pietro.
«Cari sportivi, la Chiesa vi affida una missione bellissima: essere, nelle vostre attività, riflesso dell’amore di Dio Trinità per il bene vostro e dei vostri fratelli. Lasciatevi coinvolgere da questa missione, con entusiasmo: come atleti, come formatori, come società, come gruppi, come famiglie». Parla da vero leader il Santo Padre, incoraggiando tutti coloro che operano nel mondo dello sport. È questa l’esortazione finale dei dieci minuti di discorso del pontefice che prende spunto dalla celebrazone odierna della Santissima Trinità.
«Il binomio Trinità-sport – afferma Leone XIV – non è esattamente di uso comune, eppure l’accostamento non è fuori luogo. Ogni buona attività umana, infatti, porta in sé un riflesso della bellezza di Dio, e certamente lo sport è tra queste. Del resto, Dio non è statico, non è chiuso in sé. È comunione, viva relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che si apre all’umanità e al mondo. La teologia chiama tale realtà pericoresi, cioè “danza”: una danza d’amore reciproco. È da questo dinamismo divino che sgorga la vita. Noi siamo stati creati da un Dio che si compiace e gioisce nel donare l’esistenza alle sue creature, che “gioca” […]. Ecco perché lo sport può aiutarci a incontrare Dio Trinità: perché richiede un movimento dell’io verso l’altro, certamente esteriore, ma anche e soprattutto interiore. Senza questo, si riduce a una sterile competizione di egoismi».
Grandissimo appassionato di tennis, ecco Papa Prevost dopo un dritto vincente, sofderare subito un rovescio ad effetto.
«Pensiamo a un’espressione che, nella lingua italiana, si usa comunemente per incitare gli atleti durante le gare: gli spettatori gridano: “Dai!”. Forse non ci facciamo caso – afferma il Santo Padre – ma è un imperativo bellissimo: è l’imperativo del verbo “dare”. E questo può farci riflettere: non si tratta solo di dare una prestazione fisica, magari straordinaria, ma di dare sé stessi, di “giocarsi”. Si tratta di darsi per gli altri – per la propria crescita, per i sostenitori, per i propri cari, per gli allenatori, per i collaboratori, per il pubblico, anche per gli avversari – e, se si è veramente sportivi, questo vale al di là del risultato».
Spazio poi ad una citazione di due sportivi santi: il primo Giovanni Paolo II, che nel Giubileo degli sportivi del 1984 disse «Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato […] mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, […] al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica e edonistica della vita». Il secondo riferito a San Paolo VI che vent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, ricordando ai membri di un’Associazione sportiva cattolica (il Centro Sportivo Italiano) quanto lo sport avesse contribuito a riportare pace e speranza in una società sconvolta dalle conseguenze della guerra (discorso ai membri del CSI – 20 marzo 1965). Diceva: «È la formazione di una società nuova, a cui si rivolgono i vostri sforzi: […] nella consapevolezza che lo sport, nei sani elementi formativi che esso avvalora, può essere utilissimo strumento per l’elevazione spirituale della persona umana, condizione prima e indispensabile di una società ordinata, serena, costruttiva».
Gli ultimi tre “servizi” di Leone XIV mirano precisamente su tre aspetti che rendono lo sport, oggi, un mezzo prezioso di formazione umana e cristiana.
«In primo luogo, in una società segnata dalla solitudine, in cui l’individualismo esasperato ha spostato il baricentro dal “noi” all’“io”, finendo per ignorare l’altro, lo sport – specialmente quando è di squadra – insegna il valore della collaborazione, del camminare insieme, di quel condividere che, come abbiamo detto, è al cuore stesso della vita di Dio (cfr Gv 16,14-15). Può così diventare uno strumento importante di ricomposizione e d’incontro: tra i popoli, nelle comunità, negli ambienti scolastici e lavorativi, nelle famiglie!
In secondo luogo, in una società sempre più digitale, in cui le tecnologie, pur avvicinando persone lontane, spesso allontanano chi sta vicino, lo sport valorizza la concretezza dello stare insieme, il senso del corpo, dello spazio, della fatica, del tempo reale. Così, contro la tentazione di fuggire in mondi virtuali, esso aiuta a mantenere un sano contatto con la natura e con la vita concreta, luogo in cui solo si esercita l’amore (cfr 1Gv 3,18).
In terzo luogo – conclude il Pontefice – in una società competitiva, dove sembra che solo i forti e i vincenti meritino di vivere, lo sport insegna anche a perdere, mettendo l’uomo a confronto, nell’arte della sconfitta, con una delle verità più profonde della sua condizione: la fragilità, il limite, l’imperfezione. Questo è importante, perché è dall’esperienza di questa fragilità che ci si apre alla speranza. L’atleta che non sbaglia mai, che non perde mai, non esiste. I campioni non sono macchine infallibili, ma uomini e donne che, anche quando cadono, trovano il coraggio di rialzarsi.».
Il tempo di salire sulla papamobile al termine della celebrazione, concedersi un giro in piazza San Pietro, fermandosi ogni tanto a carezzare la fronte di qualche bambino, e tornare a giocare l’ultimo “ace” di giornata nel corso dell’Angelus in Piazza San Pietro, spronando ancora i 3.500 fedeli presenti e tutti gli appassionati di sport «Vi esorto a vivere l’attività sportiva, anche ai livelli agonistici, sempre con spirito di gratuità, con spirito “ludico” nel senso nobile di questo termine, perché nel gioco e nel sano divertimento la persona umana assomiglia al suo Creatore – va ancora a segno il Papa – Mi preme poi sottolineare che lo sport è una via per costruire la pace, perché è una scuola di rispetto e di lealtà, che fa crescere la cultura dell’incontro e della fratellanza. Sorelle e fratelli, vi incoraggio a praticare questo stile in modo consapevole, opponendovi ad ogni forma di violenza e di sopraffazione». Gioco. Partita. Incontro.


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